La vera differenza nei risultati che portano benessere li fa lo sguardo, non l’evento
- Nicola D'Adamo
- 4 giorni fa
- Tempo di lettura: 4 min
Aggiornamento: 3 giorni fa
1. Che cos’è davvero la “salute”?
L’Organizzazione Mondiale della Sanità definisce la salute come “uno stato di completo benessere fisico, mentale e sociale, e non semplice assenza di malattia” (fonte).
Questa definizione sposta il focus:
dalla malattia al benessere globale della persona
dal semplice “non stare male” alla possibilità concreta di “stare bene”
da una concezione di salute come condizione passiva a quella di salute come risorsa dinamica, da coltivare ogni giorno
dall’attenzione esclusiva alle patologie a una prospettiva orientata ai fattori che promuovono benessere, vitalità e longevità.

In questo quadro, il modo in cui percepiamo e interpretiamo gli eventi diventa centrale: due persone possono vivere la stessa situazione (un cambiamento lavorativo, una critica, un imprevisto) in modo completamente diverso, con conseguenze molto diverse sul loro equilibrio psicofisico.
2. Non è lo stress in sé, è lo stress percepito
La ricerca distingue sempre di più tra stress oggettivo (ciò che accade) e stress percepito (come lo viviamo internamente). È lo stress percepito che si associa in modo più forte ai problemi di salute:
Studi su migliaia di persone mostrano che alti livelli di stress percepito si associano a peggiori comportamenti di salute (meno sonno, meno movimento, più fumo e alimentazione disordinata) e a cambiamenti fisiologici, come l’aumento di marker infiammatori (fonte).
Ricerche su adolescenti e adulti confermano che sentirsi costantemente sotto pressione è correlato a più sintomi di ansia, depressione e disturbi somatici (mal di testa, dolori, stanchezza cronica) (fonte).
In studi longitudinali (quindi nel tempo) livelli elevati e persistenti di stress percepito sono stati associati a un aumento del rischio di alcune malattie e a un maggiore utilizzo dei servizi sanitari (fonte).
Il messaggio chiave è semplice ma potentissimo: non possiamo sempre ridurre gli stimoli stressanti, ma possiamo lavorare su come li percepiamo.

3. La teoria della valutazione cognitiva: perché la mente è il vero “filtro”
Secondo la teoria della valutazione cognitiva, sviluppata da Lazarus e Folkman, di fronte a un evento il cervello compie almeno due passaggi fondamentali: (fonte)
Valutazione primaria – “Che cosa significa per me? ”L’evento viene valutato come:
irrilevante
positivo
oppure stressante (minaccia, danno o sfida).
Valutazione secondaria – “Ho le risorse per farvi fronte?” Qui entrano in gioco le nostre convinzioni su:
capacità personali
supporto sociale
strumenti e competenze a disposizione.
Dall’incontro fra questi due livelli nasce la risposta di stress o di adattamento. Studi recenti confermano che il modo in cui valutiamo le situazioni influenza direttamente la nostra resilienza, ovvero la capacità di resistere e di riorganizzarci dopo le difficoltà (fonte).
In altre parole:
La stessa situazione può essere vissuta come “minaccia che mi schiaccia” o come “sfida che posso affrontare”. E questa differenza di lettura cambia la risposta del corpo e della mente.
4. Ristrutturare il modo di pensare: la forza della cognitive reappraisal
La buona notizia è che il nostro modo di percepire e interpretare gli eventi non è fisso. Può essere allenato.
Una delle strategie più studiate è la rivalutazione cognitiva (cognitive reappraisal): consiste nel re-interpretare consapevolmente una situazione stressante in modo più funzionale e meno minaccioso.
Una revisione sistematica recente evidenzia che la rivalutazione cognitiva è uno dei più forti predittori di benessere psicologico (più emozioni positive, meno sintomi depressivi e ansiosi) (fonte).
Studi longitudinali mostrano che allenare la rivalutazione cognitiva nel tempo riduce l’intensità delle emozioni negative e dello stress percepito, migliorando l’adattamento in diversi contesti (scuola, lavoro, relazioni) (fonte).
Questo significa che non siamo “condannati” al nostro primo modo di reagire. Possiamo imparare a:
vedere le critiche come informazioni e non solo come giudizi
leggere gli imprevisti come occasioni di apprendimento, non solo come ostacoli
riconoscere i nostri limiti senza trasformarli automaticamente in fallimenti personali.
5. Cosa implica tutto questo per la salute e il benessere?
Integrare queste evidenze nel lavoro di RS Wellbeing (e nella vita quotidiana delle persone) significa passare da un’idea di benessere come “assenza di problemi” a un concetto più maturo di “competenza nel gestire e reinterpretare ciò che accade”.
In pratica:
Non possiamo eliminare lo stress, ma possiamo ridurre lo stress percepito.
Non possiamo controllare gli eventi, ma possiamo allenare il modo in cui li leggiamo.
Non possiamo cambiare il passato, ma possiamo cambiare il significato che gli attribuiamo oggi.
Percorsi di formazione, coaching e interventi di Wellbeing dovrebbero quindi includere:
educazione ai principi del benessere personale
allenamento alla consapevolezza (mindfulness e auto-osservazione)
tecniche che allenano al pensiero positivo
potenziamento delle risorse percepite (auto-efficacia, rete di supporto, senso di controllo).
6. Conclusione: la differenza la fa lo sguardo
Se salute e benessere sono una risorsa per la vita quotidiana, come ricorda anche l’OMS, allora lavorare sulla qualità del nostro sguardo interno diventa un investimento strategico, non un “optional psicologico” (fonte).
Lavorare sul modo in cui percepiamo ciò che accade non significa negare le difficoltà, ma imparare a stare nella realtà in modo più competente, meno reattivo e più intenzionale.
Questo è il cuore della prospettiva RS Wellbeing:
aiutare le persone a sviluppare un modo di pensare, agire e sentire che sostenga la salute, e non che la consumi.
In questa direzione, fare chiarezza sui propri obiettivi di vita diventa un atto rivoluzionario che porta alla vera libertà. Significa spostare l’attenzione da gabbie mentali e paure limitanti verso ciò che davvero conta, permettendo crescita, coerenza e l’espressione autentica del proprio potenziale.
Perché, in ultima analisi, la differenza non la fanno le circostanze, ma lo sguardo con cui scegliamo di attraversarle.






























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