top of page

La Felicità sostenibile e l'importanza di parlarne

La parola “felicità” è una delle parole più ricercate sul motore di ricerca Google, con ben 20 milioni di risultati pertinenti. Happiness ne ha addirittura 601 di milioni.


Sostenibile” è un aggettivo ancora fortemente associato al mondo energetico/industriale che non sembrerebbe avere una relazione diretta con la sfera emotiva/sentimentale.



E allora, che cos'è la felicità sostenibile?


Per felicità sostenibile intendiamo la felicità autonomamente rinnovabile anche nei periodi di crisi, di sofferenza e di infelicità purché sostenuta da un sogno, da un nostro personale orizzonte di senso. Ma non solo. Da un punto di vista etico, la felicità è sostenibile se vuole essere creata a discapito di niente e di nessuno. Vuole essere sostenibile dal punto di vista sociale, economico, ecologico, energetico...


La “questione felicità” è tornata prepotentemente nel dibattito pubblico, in risposta ad un momento storico in cui l’uomo sembra essere sempre più un homus economicus, incapace di dare rilevanza alle relazioni e incentrato tutto su sé stesso e sull'accumulo di beni materiali.


Questo individualismo marcato vede il soggetto economico come una monade separata dagli altri in cui vale il principio dell’Homo Homini Lupus (l’uomo è un lupo nei confronti degli uomini) e non quello Homo homini natura amicus, cioè ogni uomo è per natura amico dell'altro uomo.


È importante parlare di felicità sostenibile perché viviamo sempre di più in un mondo incentrato soltanto su strategie economiche e su un liberismo spesso cieco di fronte alle esigenze delle persone e dei lavoratori. Sembra essere indispensabile tornare a rimettere al centro l’individuo e la categoria di bene comune, assumendoci la responsabilità (ovvero la nostra abilità di rispondere) di quello che ci circonda. Il problema di fondo è che assistiamo da qualche tempo ad un fenomeno che i Paesi anglosassoni attraversano da molto. Lì la filosofia dell’individualismo libertario ha già dimostrato tutti i suoi aspetti negativi e si sta criticando per il suo approccio fallimentare che fa credere di essere liberi e pieni di utilità senza dar modo di essere felici. L’accumulo di beni avviene a discapito di tutto e tutti, della propria famiglia, della propria relazione, dei propri hobby, del proprio benessere e dell’ambiente che ci circonda, probabilmente perché a lungo il denaro è stato considerato l’incentivo alla produttività e anche la soluzione a tutti i nostri problemi, il nostro mezzo e il nostro fine ultimo, la risorsa più indispensabile della nostra vita.


Ma in realtà già nel 1974 venne sottolineato quanto sbagliato fosse attribuire al denaro l’indice di qualità della vita, privata e collettiva, grazie allo studio di un professore di economia della California meridionale, Richard Easterlin, che introdusse il cosiddetto “paradosso della felicità”, conosciuto anche come paradosso di Easterlin. Con questa nozione esplicata molto chiaramente da una parabola, si mise finalmente in luce qualcosa di completamente inedito che andò ad intaccare tutte le credenze messe in pratica sino ad allora nel mondo produttivo ed economico: all'alzarsi del reddito personale corrisponde anche un abbassamento dello stato di felicità dei campioni esaminati.



Soldi=felicità, l’equazione ritenuta veritiera dal mondo produttivo, imprenditoriale e dalla stessa politica, alla luce del paradosso si rivelò fallace e spinse economisti, sociologi, antropologi a rimettere in discussione le proprie convinzioni.


Ma perché emersero queste evidenze? Da quando i beni materiali e la ricchezza sono da ostacolo alla felicità?


La risposta potrebbe essere che troppo spesso confondiamo l’utilità con la felicità, preferendo quindi i beni materiali e posizionali (quell'insieme di beni che ci fa appartenere ad un certo “status quo”) al nostro personale benessere psicofisico, che si declina anche in termini di felicità. Certo, gli agi ci fanno comodo, sono importantissimi per vivere sereni e in salute, ma non sono tutto.


Mentre l’uso, quindi la sfera materialistica della vita, ha una matrice individualistica, la felicità è “generatività”, ha a che fare spesso con l’”altro”, con la reciprocità. Infatti, per essere felici sembrano fondamentali due requisiti piuttosto che il denaro: raggiungere gli obiettivi che ci si è preposti e avere una soddisfacente vita relazionale.


Per ottenere più guadagni, spesso si sacrificano entrambi questi aspetti, così come ci spiega il paradosso della felicità. Raggiunto un tot di reddito, infatti, bisogna impegnarsi di più per ascendere la gerarchia dirigenziale, anche aumentando le ore di lavoro, impegnando così la risorsa più importante a nostra disposizione: il tempo. Se impieghiamo tutto il tempo a disposizione per fare soldi è evidente che lo sottrarremo alle relazioni interpersonali, guadagnandoci in termini economici ma perdendoci in rapporti umani e, quindi, anche in felicità. Il sistema del lavoro, inoltre, così com'è stato pensato, induce i lavoratori a pensare di essere soltanto un numero, parte dell’ingranaggio inascoltato, incapace di generare idee, di sviluppare i propri talenti e di mettersi in gioco per realizzare i propri obiettivi. Tutto questo a scapito della stessa produttività che dovrebbe essere perseguita dalle aziende e non ostacolata con orari non stop e rigidissime gerarchie aziendali.


In questa epoca postfordista, però, sarebbe possibile riorganizzare tutto il sistema produttivo per renderlo compatibile con le nuove esigenze lavorative, familiari e ambientali, producendo anche degli aumenti della produttività così come sottolineano i più recenti studi neuroscientifici, altrimenti la felicità sarà sempre subordinata all'economia e non ci sarà mai un reale progresso umano, civile e sociale, solo un avanzamento economico che presto si arresterà, lasciandoci poveri di risorse materiali e umane.


Sappiamo benissimo cosa misurare lo stato economico di una nazione: utilizziamo il PIL, il prodotto interno lordo, ovvero il calcolo del valore di mercato aggregato a tutti i servizi prodotti nei confini di uno stato in un determinato lasso di tempo. Siamo costantemente bombardati da questa parola. Ci preoccupiamo per l‘abbassamento del PIL, ci rallegriamo quando c’è un incremento, ma cosa dice realmente questa misurazione di noi? Ben poco in realtà.



La ricchezza delle nazioni non è il PIL, ma come dice l’economista Leonardo Becchetti è «lo stock di insieme dei beni spirituali, economici, ambientali e culturali a nostra disposizione».


L’ONU, per contrastare questa visione assolutistica dello stato di un paese, pubblica da sei anni ad anni alterni il rapporto mondiale sulla felicità, in cui vengono indicati in ordine decrescente tutti i paesi per indice di felicità, calcolata attraverso degli aggregatori di natura soggettiva e oggettiva. Spesso, i paesi più produttivi non sono quelli più felici. Per calcolare gli indicatori di tipo soggettivo sono somministrati a dei campioni stratificati dei questionari in cui si chiede come si considera la propria vita, se rispetto a prima si sono notati dei miglioramenti e altre domande in termini di rapporti di amicizia. Gli indicatori oggettivi sono 12 e comprendono il tasso dei suicidi, il consumo psicofarmaci, quello di droghe, le rotture famigliari (oggi siamo al 40% di divorzi) … Aggregando questi dati si ottiene l’indice sintetico della felicità.


Noi italiani siamo arrivati al 50° posto e ogni due anni perdiamo quota. L’Italia, il paese del sole, del mare e del cibo, non riesce più a sollevarsi dal proprio stato di spaesamento e di perdita in termini relazionali anche se da qualche anno si è iniziato a parlare di un nuovo parametro per valutare lo stato generale del paese: il BES, il benessere equo e solidale, che tiene conto di 12 fattori tra cui anche le relazioni sociali.


La felicità sostenibile ci permetterebbe di creare una società solida, solidale, orientata al rispetto del bene comune. La scelta che abbiamo davanti agli occhi non è tra economia tradizionale e decrescita felice, ma è una terza via che come ci spiega l’economista e professore bolognese Stefano Zamagni «ha come obiettivo lo sviluppo umano integrale che accompagna alla crescita la dimensione socio-relazionale e spirituale».




Vuoi approfondire?


Il 21 e 22 Giugno a Bologna si terrà presso il Savoia Regency un evento dedicato al welfare aziendale. Un workshop a supporto degli Imprenditori e Responsabili delle risorse umane, che evidenzierà le soluzioni più efficaci per rendere l’ambiente di lavoro più produttivo e consono alle esigenze di chi vive ogni giorno l’azienda.






Messaggi in 1° piano
Post Recenti
Archivio
Cerca per tag
Seguici
  • Facebook Basic Square
  • Twitter Basic Square
  • Google+ Basic Square
Logo_RS_RGB_WEB.png
bottom of page